Il ritorno in fiaba onirica dei Belize: Phantom Favola

Varese, rarefazione, tanto tempo che passa… Un tempo che però è scandito da esperienze di vita lontane dai dettami della musica che corre allo stream, alla certificazione, al guadagno. Una musica che somiglia sempre più a un prodotto. Dopo 7 anni i Belize tornano dal silenzio con “Phantom Favola”, il nuovo progetto ispirato alla Malaguti Phantom, motorino che ha segnato l’adolescenza dei millennials, ma che qui assume una veste tutta nuova. In un viaggio tra l’onirico e il reale, ci siamo fatti quattro chiacchiere coi Belize per saperne di più sul loro ritorno e sul loro album.
Da “Graffiti”, il vostro ultimo album prima di “Phantom Favola”, sono passati ben sette anni. Che cosa è successo in tutto questo tempo? Quali esperienze, non solo a livello musicale, vi hanno portato poi a concepire questo disco?
Riccardo: Noi a un certo punto siamo crollati fisicamente. Erano anni che suonavamo tanto, sia tra di noi che in giro per l’Italia, e non ci siamo mai fermati. Forse eravamo troppo giovani per capire invece che dovevamo prendere una pausa nelle nostre abitudini, nelle nostre vite per poi riuscire a mantenere il ritmo. Invece abbiamo lavorato talmente tanto che a un certo punto il fisico non ha più retto. Poi, quando si finisce di fare una cosa, è un attimo che non farla diventi quasi un’abitudine e così anche un pochino nella vita. Personalmente ho affrontato degli anni un po’ bui in cui non riuscivo più ad approcciarmi alla musica, è stato un rapporto particolare che sono riuscito a riprendere lentamente. Una volta ripreso ci siamo ritrovati tra di noi e nel 2020 abbiamo deciso di riprendere il progetto facendo qualcosa di più a livello musicale. Quindi sono stati un paio d’anni di ricerca, tanto non ci correva dietro nessuno, per capire cosa volessimo fare. Poi, quando abbiamo trovato tutte le varie quadre, abbiamo deciso di cominciare a scrivere questo disco più o meno nel 2021.
È una mossa molto coraggiosa, non è comune trovare degli artisti che si prendono il loro tempo, visti i dettami dell’industria musicale di oggi.
Federico: È una delle cose da cui siamo scappati di più quando abbiamo preso le distanze dalla musica perché la richiesta incessante di tempo, materiale, pressione diventa davvero un turbinio da cui, se ci sei dentro, più o meno stai a galla ma appena ne esci dici “Cacchio, ma tutto questo tempo libero prima dov’era?!”
Riccardo: Penso però che “scappare” non sia proprio il termine giusto perché tu scappi da qualcosa che conosci, noi in quel caso lì non siamo veramente scappati.
Federico: Abbiamo preso una pausa che poi ci ha permesso di vedere con prospettiva la quantità di tempo che veniva mangiata da questo sistema musica, richieste e tempo speso per cui dopo ci siamo ri-approcciati a questa dinamica con delle clausole, e tra queste c’era il fare un progetto senza il timer, il countdown. Fare con i nostri tempi e con l’onestà intellettuale al 100%, quindi senza scendere a compromessi facendo qualcosa che non ti piace, ma chiuderlo solo quando ne fossi veramente soddisfatto.
Riccardo: Quando sei tanto dentro al mondo della musica non capisci neanche tu musicista se quello che stai facendo ti piace o no. È una cosa stranissima che chi non fa musica fa fatica a capire, quindi ti devi allontanare per riuscire a tornare a capire.
Federico: Secondo me una cosa che un artista non dovrebbe mai dimenticare è che non si deve occupare del fatto che la sua roba funzioni. Quello è il lavoro della critica, della stampa o dei fan. Il lavoro dell’artista è creare un qualcosa che sia onesta e rappresentativa per ləi.
Phantom Favola viaggia molto tra paesaggi onirici ma trattando dei temi estremamente reali. quindi come i rapporti di amicizia, d’amore, la lontananza, la vicinanza degli affetti, dei luoghi… Come mai avete deciso di inserire proprio queste storie così reali in un ambiente così fiabesco?
Riccardo: Siamo contenti che sia passata questa visione, è proprio puntuale! Per noi è stato un metodo per alleggerire la quotidianità. Quindi un tragitto casa-lavoro diventava un’avventura sul tuo destriero-scooter con cui andare a fronteggiare i cattivi, tipo il tuo capo! Tutto può essere vissuto in maniera sia positiva che negativa. Chiaramente l’astrazione ha dei rischi e non vogliamo che passi il concetto di volerci completamente estraniare dalla realtà. Vogliamo viverla con un occhio un po’ più fanciullesco, cercando di alleggerirla.
Federico: È più una tematica di quanto crescendo tendi a concentrarti sulle cose terrene, pratiche, le cose burocratiche… Quando da piccolo tutto ciò che ti frega è la bellezza, giocare, divertirsi. Quindi ricordarsi che ci sono quegli spunti nella vita quotidiana ti può dare la possibilità di vedere le cose con un occhio nuovo.
Riccardo: Per esempio, io ho 34 anni ma comunque vorrei prima o poi diventare Spider-Man! Perché il bello di far musica secondo me è, oltre al creare un po’ di mondi, anche il momento in cui sali sul palco: cacchio lì, è come essere un po’ un supereroe in un certo senso, quindi è bello evadere in quel senso dalla realtà. Poi è vero, io nei miei testi parlo della vita quotidiana, però a me piace pensarla in questo modo fumettoso.
A livello musicale c’è un’interessante commistione tra elementi rock ed elettronici. Ci dareste una vostra visione sul come questi mondi comunicano fra loro?
Riccardo: Sulla parte musicale abbiamo sviluppato negli anni uno stile sempre più rarefatto e sognante. Invece in questo disco volevamo tornare a suonare le chitarre, ed è un processo che secondo me porteremo ancora avanti per cercare di alleggerire sempre di più la parte di produzione e aumentare invece quella strumentale. La nostra volontà era mettere questi suoni con cui siamo cresciuti, quindi il Big Muff con distorsore alla Smashing Pumpkins, alla Nirvana… Quando abbiamo provato a inserirle nella nostra musica con le nostre batterie ci suonava un po’ troppo rock, quindi abbiamo cercato di unire questi due elementi in modo non troppo convenzionale. Si è creato questo gioco di pieni e di vuoti che trova un corrispettivo anche nei testi, perché alterna momenti più onirici di tastiere e di elettronica ad altri che ti svegliano con questi chitarroni distorti che ti fanno uscire dal sogno.
Il disco l’avete anticipato con “Qualcosa di nuovo”, anche se in realtà c’è un pezzo uscito ancora prima che a me è piaciuto considerare a metà tra i Belize di prima e di ora che è “Varese tuning”. Che significato attribuite a questo pezzo per il periodo in cui è uscito e per il ponte che crea tra il vostro vecchio progetto e questo nuovo?
Riccardo: Quello è uno dei primi brani che abbiamo scritto del disco. Noi inizialmente avevamo registrato un mini EP con dentro “Phantom Favola”, “Gattesca” e “Varese Tuning”. Queste sono un po’ le 3 canzoni “ponte” come dicevi tu. In verità l’abbiamo messa in fondo all’album per una questione di suono e di velocità del brano! Perché era il brano più veloce del disco e se l’avessimo messo prima gli altri sembravano troppo lenti! È il vero e reale motivo. Poi, forse per il modo che abbiamo di suonare e di scrivere, quello è stato il pezzo che ci ha permesso di scrivere una cosa “semplice” anche se poi non lo è: parlare della nostra città è una cosa che potremmo fare per sempre, in modi sempre diversi tanto la conosciamo e tante sono le cose da dire. Nel momento in cui abbiamo ricominciato a fare musica, parlare della nostra città è stata una cosa che sicuramente ci ha aiutato.
“Varese tuning” ha anche introdotto il concept del Phantom!
Federico: Si, esatto. La copertina diventa la serratura attraverso la quale noi abbiamo aperto il cassetto “Varese” e da lì abbiamo attinto a tutti i nostri ricordi: andare in scooter a scuola, ricevere il tuo primo scooter a 14 anni e acquisire le “chiavi della libertà”, perché attraverso lo scooter un ragazzo di provincia acquisiva la libertà. È difficile spiegare a un milanese cosa vuol dire non poter andare da solo in giro perché abiti a Castiglione Olona e fuori ci sono solo paludi o campi arati. Invece in quel momento con una chiave di un cinquantino sbloccavi veramente la 50 special: riuscivi a essere persona, a fare delle cose da solo senza dover rendere conto a nessuno. Quindi “Varese tuning” è stata un po’ l’apritutto, anche in un modo di raccontare le cose che poi si è sviluppato negli anni.
Dopo che è uscito questo disco, chi sono i Belize oggi rispetto a ieri?
Federico: È interessante che tu ce lo chieda perché ci siamo resi conto di quanto, rispetto allo scorso tour ormai sei anni fa, io mi senta decisamente più legato a loro, nonostante ci si veda con meno costanza. Adesso il rapporto è maturato e, con una condivisione sentimentale e di conoscenza di se stessi, si riesce a comunicare e a comunicarsi molto meglio di un tempo. Ci scopriamo a condividere sentimenti, impressioni e paure molto di più di un tempo. Prima eravamo forse ancora nel gioco dell’apparire, quindi sotto una maschera di essere cool nascondevamo cose che magari era importante dirci. Il rapporto è decisamente molto più organico, naturale e senza sovrastrutture.
Riccardo: Sì, di base abbiamo imparato a comunicare bene tra di noi. Secondo me adesso non esistono più le band, anche perché effettivamente è difficile averne una, Bisogna imparare a comunicare tra i membri oltre a suonare a fare musica.
Ho saputo che farete il Mi Ami! C’è qualcosa in programma più avanti o avete deciso di prendervi una pausa?
Riccardo: No, basta pause adesso! Stiamo aspettando la data del Mi Ami, poi comunicheremo un tour estivo e stiamo già programmando un tour autunnale. Per ora abbiamo già annunciato un paio di date, una in Sardegna e l’altra ad Arezzo.