Edel e il suo manifesto “Contro La Fretta di Crescere”

Quando Edel mette mano alla chitarra e inizia a intonare le prime melodie, l’atmosfera che si respira evoca le note di Battiato, Dalla, De Andrè, maestri della tradizione cantautorale italiana.
Dopo l’esperienza come frontman e arrangiatore della band La Scala Shepard, Edel ha intrapreso una carriera solista che lo ha portato a vincere riconoscimenti come il Premio del Pubblico Banca Macerata a Musicultura 2024. La sua musica è un viaggio tra introspezione e sperimentazione, radicata nella canzone d’autore
E proprio l’introspezione nei suoi testi è tipica di quel tanto amato (e compianto) cantautorato italiano, che in artisti come Edel ancora (r)esiste. Edel parla di quello che conosce, della sua identità, della sua vita. Il suo racconto della vita da trentenne, il tema centrale del suo primo disco da solista “Contro La Fretta di Crescere”, è una visione soggettiva ma in cui è facile rispecchiarsi per chiunque faccia parte della stessa generazione.
“Contro La Fretta di Crescere” è un titolo che sembra più un manifesto, una presa di posizione contro la velocità che ci impone la vita, tanto nei ritmi esterni quanto in quelli interni, personali. Ci troviamo a dover competere con gli altri, ma non sappiamo poi così bene questi altri chi sono, o forse con la nostra ambizione personale, quanto con le aspettative che ci impone il contesto sociale che ci circonda.
Di tutto questo Edel ne è ben consapevole e nel suo disco lo analizza prendendone le distanze, lo descrive cinicamente e allo stesso tempo rendendo esplicita la sofferenza che questi meccanismi provocano, in lui stesso in primis.
Con Edel abbiamo parlato di che cosa ci spinge nella vorticosa fretta di crescere e dello sviluppo di questo suo primo album.
Contro La Fretta di Crescere è un titolo molto evocativo e racchiude di fatto una serie di temi molto importanti per la nostra generazione. La decisione di rivolgerti a questi temi è stata dettata da una riflessione appunto generazionale o è frutto di un’esperienza personale?
Ho dei dubbi sulla mia capacità di rappresentare con coerenza il mio pensiero, figuriamoci quello di una generazione. È assolutamente frutto di un’esperienza personale e nasce dalla volontà di perdonarsi tutte le volte che si è stati troppo adulti lì dove ci si poteva lasciare andare un po’ di più. È un augurio, una speranza. Quella di riuscire a ricongiungersi il più spesso possibile con la parte di sé che ha smesso di giocare troppo presto per paura di non crescere mai, per mostrarsi preparati ad affrontare una quotidianità spinosa. Credo di essere stato, e lo sono ancora a larghi tratti, intrappolato nei compartimenti stagni, negli estremi. Spero di prendere presto un master in sfumature.
Effettivamente siamo una generazione di persone che sentono una pressione micidiale a crescere, a rispettare aspettative e desideri che magari non sono nemmeno nostri. Se potessi dedicare una canzone del tuo album a chi ha la tua età, quale sceglieresti?
Mi verrebbe da dire “Contro la fretta di crescere”: “perché arrivare a trent’anni e aver bisogno di più tempo per sapere chi sei è normale”. Ma la verità è che in questo disco c’è un aspetto ancora più importante che è quello dell’accettazione dei propri limiti e del volersi bene per quello che si è. Quindi, forse, con tutte le nostre insicurezze, con tutti i nostri dubbi, in mezzo a tutte le cose giganti e quelle più piccole che ringhiano alla stessa maniera se non più forte, l’unica salvezza è farsi del bene. “Nonostante Tutto” chiude il disco così. E sarà banale, ma come tutte le cose banali ha centinaia di strati. “E nonostante tutto, nonostante tutto per favore, facciamoci del bene”.
Ci sono due brani in questo disco che un po’ dialogano a mio parere con due parti molto diverse del sé. “Contro la fretta di crescere” ci parla appunto di non avere tutta questa fretta di diventare grandi, assumersi responsabilità e della bellezza del vivere la giovinezza. Ma poi c’è “il bene che ci potremmo fare” che invece pianifica di fatto un futuro a lungo termine con la persona amata, e questa è una bella assunzione di responsabilità. Come sono legati questi brani?
L’amore è il peggior nemico dell’ansia, per fortuna. Non mi stupisce che due brani così diversi siano legati. Conviviamo naturalmente con decine di sensazioni che hanno colori diversi ma un’unica matrice: noi stessi. “Il bene che ci potremmo fare” spera in un amore infinito nel limbo dell’innamoramento, la condizione ideale per scrivere canzoni e vivere la vita essendo in grado di vedere il mondo illuminato in maniera inedita. Ma dentro c’è tutta la disillusione dell’irraggiungibile, della fine e ci sono di nuovo i limiti: “aspetta che ho ancora da comprare una lampada e una bussola per me”. Che è un po’ un “non te ne andare, potrò essere all’altezza, prima o poi, ma dammi tempo”. Forse poi il tempo non basta mai e ci trasformiamo sempre in maniera troppo lenta…ma questa è un’altra storia.
Al di là di tanti temi tipici della vita di un giovane adulto, in questo album c’è anche una riflessione molto profonda anche a livello spirituale, ovvero la tua “Canzone poco originale sulla solitudine”. Come nasce questo brano?
Da bravo intellettuale snob antipatico mi sono appassionato qualche anno fa ai libri di Galimberti. Non c’era ancora tutto questo hype da reel di Instagram ma già scriveva cose interessanti. In un libro che mi pare fosse “I miti del nostro tempo” c’era una riflessione che mette in bocca ad Aristotele (vado a tentoni eh, è passato un po’ di tempo) che dice: “se uno entra nella città e pensa di poter fare a meno degli altri o è bestia o e Dio” e aggiunge “probabilmente Dio non è felice perché è Monakos, perché è solo”. E lì è nato un piccolo viaggio che parte dall’interiore (“la percezione dei sensi”, “la verità ambigua”) per poi alzare lo sguardo a mezza altezza (“l’Occidente cade sull’onda dell’entusiasmo per le bambole gonfiabili e le loro curve morbide”), per poi alzarlo al cielo nel chiedersi se c’è mai venuto in mente che Dio possa aver bisogno di compagnia, se è convinto erroneamente di averne. E Dio siamo noi. Così bravi nel creare e nel distruggere. Così piccoli e così esponenzialmente giganteschi.